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Fondazione Prada a Milano: quando l’Architettura diventa Contenuto

A quasi dieci anni dall’inaugurazione della sua monumentale sede milanese in Largo Isarco, avvenuta nel maggio 2015, la Fondazione Prada non è più solo un’istituzione culturale, ma un vero e proprio paradigma. Ha ridefinito il modello della fondazione privata in Italia, trasformando un’ex area industriale in un “campus delle arti” la cui influenza si estende ben oltre i confini nazionali. Analizzarne il percorso, la linea curatoriale e, soprattutto, il rapporto simbiotico con l’architettura, significa comprendere una delle più lucide visioni culturali del nostro tempo.

La Visione di Prada: un Approccio Interdisciplinare

Fondata nel 1993 da Miuccia Prada e Patrizio Bertelli, la Fondazione ha mostrato fin dalle origini una vocazione a superare i confini disciplinari. Ben prima della costruzione della sede attuale, ha organizzato mostre personali seminali di artisti come Anish Kapoor (1995) e Louise Bourgeois (1997), ma ha anche promosso rassegne cinematografiche, conferenze filosofiche e progetti legati all’architettura e al design. Questa apertura programmatica a una pluralità di linguaggi è il DNA dell’istituzione: l’arte contemporanea è il baricentro, ma il suo significato si arricchisce solo attraverso il dialogo costante con altri campi del sapere. Figure curatoriali del calibro di Germano Celant hanno contribuito a plasmare questa identità, costruendo una collezione che non è un semplice accumulo di capolavori, ma uno strumento di indagine critica.

L’Architettura di OMA/Rem Koolhaas come Manifesto

La scelta di affidare il progetto della sede milanese allo studio OMA di Rem Koolhaas è stata una dichiarazione d’intenti. Invece di un edificio-icona monolitico e autoreferenziale, Koolhaas ha concepito un complesso che articola dialetticamente preesistenze e nuove costruzioni. Il recupero di una distilleria degli anni Dieci del Novecento è il punto di partenza per un innesto di tre nuove strutture: il Podium, spazio espositivo vetrato; il Cinema, un auditorium multimediale dalle pareti specchianti; e la Torre, un imponente edificio di nove piani in cemento bianco a vista che svetta sul complesso. Il risultato è un paesaggio architettonico frammentato e diversificato, dove ogni edificio possiede una sua specifica identità. La “Haunted House”, un edificio preesistente interamente rivestito in foglia d’oro 24 carati, convive con la severità brutalista della Torre e la trasparenza del Podium. Questa eterogeneità spaziale e materica (oro, cemento, vetro, alluminio, legno) non crea un percorso unico e obbligato, ma offre al visitatore la libertà di costruire la propria esperienza, di perdersi e ritrovarsi in atmosfere sempre diverse. L’architettura, quindi, cessa di essere un contenitore neutro per diventare essa stessa un dispositivo critico, un manifesto fisico della concezione culturale della Fondazione: non un canone monolitico, ma un arcipelago di linguaggi in dialogo.

La Collezione e il suo Dispiegamento

Questa filosofia si riflette pienamente nella gestione della collezione. Le opere non sono esposte in un allestimento permanente e cronologico, ma vengono costantemente riattivate attraverso mostre tematiche e progetti curatoriali site-specific, come le inaugurali “An Introduction” e “In Part”. La collezione diventa un archivio vivo da cui attingere per costruire nuove narrazioni. La scelta audace di dedicare le prime grandi mostre nella nuova sede all’arte antica (“Serial Classic” e “Portable Classic”, a cura di Salvatore Settis) è stata un’ulteriore prova di un approccio non dogmatico, che cerca connessioni trasversali nella storia della cultura visiva, superando le rigide categorizzazioni tra antico e contemporaneo. L’integrazione di spazi come il Bar Luce, progettato dal regista Wes Anderson con un’estetica da vecchio caffè milanese, e l’Accademia dei bambini, dedicata alla didattica, completa la visione di un “campus” culturale dove l’esperienza artistica si fonde con la socialità, il gioco e l’apprendimento.

La Fondazione Prada rappresenta un modello di mecenatismo illuminato in cui un’istituzione privata, nata da un’eccellenza del Made in Italy, assume un ruolo pubblico di primo piano, generando valore culturale per l’intera collettività. Su una scala differente, è la stessa logica che anima progetti come le Panchine d’Artista di Vigone, sostenuti da enti come la Fondazione CRT. Entrambi si fondano sulla convinzione che investire in arte contemporanea non sia un lusso, ma una strategia fondamentale per costruire l’identità e il futuro di un territorio.

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